Cibi sì e cibi no: ascolta il tuo corpo

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un piatto dove scegliere il cibo

Hai mai fatto caso che in ambito alimentare, prevalentemente, ci sono pareri discordanti da parte di pari autorità in relazione all’utilità o meno di certi alimenti?

C’è chi dice che una cosa non nuoce alla salute e ne consiglia il consumo e chi, invece, la vieta tassativamente. Un esempio lampante è costituito dal vino; se chiedi consiglio al cardiologo ti risponde che il “vino fa buon sangue” e te lo raccomanda per scongiurare ictus e problemi cardiaci.

Ma sulle quantità iniziano le prime incertezze. Alcuni dicono un bicchiere a pasto per le donne e due per gli uomini. Queste quantità potrebbero variare a seconda dello stato di salute dell’individuo.

Alla base del potere magico del bicchiere di vino ci sarebbe il contenuto di rosveratolo, sostanza antiossidante presente nella buccia dell’acino dell’uva. Questa avrebbe un’azione di antinvecchiamento e protettiva da malattie cardiovascolari grazie alla sua capacità di ridurre i livelli di colesterolo cattivo (LDL) nel sangue, come dimostrati da molteplici ricerche scientifiche.

Se, diversamente, si chiede il parere all’epatologo, quindi un medico con diversa specializzazione del cardiologo, ti sconsiglia vivamente il consumo di vino perché nuoce al fegato anche in piccole dosi. A chi credere?

Riappropriarsi dell’istinto naturale

È bene riflettere sul fatto che l’uomo è l’unico essere vivente sulla Terra che ha bisogno del parere di un proprio simile per capire cosa deve mangiare e bere per rimanere in forma sperando che chi si prodiga a dare suggerimenti abbia chiaro di quale sia il carburante migliore. Ciò accade perché, nel corso degli anni, l’essere umano ha disperso il proprio istinto guida naturale.

Un valido strumento per orientarsi al meglio in questo terreno è il sistema di campanelli di allarme di cui l’organismo è dotato. Sappiamo che quando suona un allarme in una fabbrica, il messaggio che questo veicola è di abbandonare l’edificio per un pericolo imminente.

Lo stesso dovrebbe accadere per ciò che mangiamo e non solo. Per esempio è bene tenere le distanze da cibi che provocano reazioni avverse come pruriti, reazioni anafilattiche, allergie, afte, mal di testa, stanchezza, bruciori di stomaco e tanto altro.

Tra l’istinto naturale e l’effettiva capacità di affrancarsi da alimenti e bevande, si frappone spesso la resistenza mentale ad abbandonare determinate abitudini, frutto di tradizioni tramandate di generazione in generazione.

I campanelli d’allarme perdono la loro efficacia nei primi cinque o sette anni di vita. Periodo in cui l’individuo non ha ancora capacità e facoltà di dire la propria in merito a ciò che mangia e beve. Capita che il genitore che offre al proprio figlio qualcosa da mangiare o da bere osservi delle reazioni avverse a date sostanze; confrontandosi con il pediatra, quest’ultimo spesso invita a insistere nel fintantoché il bambino non crei l’abitudine allo stimolo.

In questo modo non viene dato il giusto significato al rigurgito, alla colica, al pianto o al rifiuto categorico e si mette l’organismo del cucciolo nelle condizioni di doversi adattare allo stimolo per ridurre al minimo il disagio che prova, invertendo così la scala del dolore e del piacere. Prima o poi inizierà a farsi del male con piacere o a provare piacere a farsi del male per via dell’insistenza del genitore.

Lo spegnimento dei campanelli d’allarme porta l’individuo a disperdere la salute e a sviluppare patologie più o meno serie nel medio e lungo periodo. La strada da seguire per il loro ripristino è quella dell’autodisciplina. Decidere volontariamente di sospendere il consumo di qualcosa per un periodo minimo di un mese circa.

In questo modo l’organismo si ripulisce dai sedimenti avvenuti negli anni e mette nelle condizioni di poter riappropriarsi di questo importante strumento salvavita.

Il setaccio del bambino

Qualora le resistenze mentali fossero così forti da farci desistere dal provare a cambiare abitudini, allora ci può affidare a un altro potentissimo strumento capace di risvegliare la coscienza.

Se si ha un dubbio in merito alla nocività di un qualcosa, si può immaginare di essere genitore di un bimbo di 5 anni che ci vede consumare una data sostanza e che, incuriosito, ci chiede di poterla assaggiare.

Riprendiamo, per comodità, l’esempio del vino. Sei a tavola che sorseggi un buon bicchiere di vino e tuo figlio di chiede di poterlo assaggiare, cosa rispondi?
Immagino che la risposta possa essere “NO”, giusto?

Dato che i bambini hanno bisogno di spiegazioni convincenti, probabilmente potresti sentirti chiedere “perché no?”. Proseguendo questo ipotetico dialogo, forse giustificheresti la tua risposta dicendo “perché ti fa male”.

A questo punto il bambino si troverebbe di fronte a un’incongruenza, ovvero sentirsi dire che a lui il vino fa male vedendotelo sorseggiare con piacere. Allora potrebbe controbattere “perché a me fa male e a te no?”. Messo alle strette non ti rimane altro che rispondere “perché sei piccolo” per porre fine al dialogo.

A questo punto il bambino non vedrà l’ora di crescere per provare a sorseggiare la bevanda a lui proibita e, appena potrà farlo, la prima volta che ne farà esperienza è facile che provi disgusto. Spinto dall’immagine di te che sorseggi vino con piacere, ci riproverà finché l’organismo metterà in atto quei compensi di cui è capaci per difendersi dal disagio invertendo la scala del dolore e del piacere.

Anche lui, prima o poi, sarà in grado di gustare con piacere un bel bicchiere di vino.

Se il vino a un bimbo fa male quando può diventare improvvisamente innocuo e addirittura consigliato per mantenersi in salute?

Da che età in avanti il potenziale danno si trasforma in virtù?

È possibile godere dell’azione del rosveratolo semplicemente consumando uva evitando i possibili danni dell’alcool, elemento dannoso del vino; ma per difendere le proprie abitudini ed evitare di cambiarle è facile che si possa arrivare a negare l’evidenza.

Per concludere, credo che si debba usare il buon senso e riflettere sui messaggi che si danno ai bambini e agire coerentemente con ciò che si racconta loro. Se riteniamo che una cosa sia potenzialmente dannosa per loro, non c’è motivo che possa essere magicamente innocua per un adulto.

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